lunedì 9 marzo 2009

L’UOMO NATO DURANTE UN ECLISSI DI SOLE - GIOVANNI PAOLO II E LA CROCE

Ripensando all’omelia di Giovanni Paolo II quando concludendo diceva “vorrei dire a voi, cari giovani: non abbiate paura di Cristo! Egli non toglie nulla e dona tutto. Chi si dona a Lui riceve il centuplo”.
Allora corrono alla mente i giorni della Passione da poco trascorsi, i giorni che debbono indurci a percorrere per intero le nostre dimenticanze di uomini con cadute di memoria in avanti, perché a ritroso ne abbiamo perduto il valore.
C’è una croce che rimane inchiodata alle nostre coscienze, una croce che non demanda alla cultura del bello la nostra fede e partecipazione. Una croce che sa delle nostre insubordinazioni alle fatiche del credere e dello sperare, mentre noi di dura cervice persistiamo a volgere le spalle all’umiltà del non volere e potere giudicare gli altri, piuttosto che noi stessi.
Sono i giorni di una croce che non accetta esilio, che non tace, né riconosce le nostre assenze, ma le invoca e rinnova in mille fremiti nuovi che non franano sui detriti del passato.
Quel volto sofferente, quella carne squarciata, non possiede lineamenti tramandati, ma occhi di pena, come quelli di nostra madre, di nostra figlia, di nostro fratello, del nostro amico.
Sono i giorni che c’insegnano a non tradire noi stessi, per non tradire l’altro.
Giorni a cancellare attimi che trapassano le nostre colpe, la nostra stessa ricerca di salvezza attraverso la condanna senza scampo degli altri.
Quella croce, quella agonia, quelle grida che non hanno avuto scampo, altro non sono che la morte che non c’è, quella morte che non vediamo, perché non ci compete.
In fondo è morte di un altro, non è ancora la nostra.
Sul legno che non marcisce, sul dolore che descrive le tante sordità all’intorno, c’è sì lo sfinimento per le tante morti che ci portiamo addosso, ma improvvisa la nota nascosta sale e scava in profondità, facendoci ritrovare il senso perduto dell’amore al rango più alto.
Non c’è sfida né scommessa in questo atto, solamente lo sguardo in alto verso quella croce, senza ingannare l’amore gratuito che ci è donato nell’intento di stare bene con il resto del mondo; appunto un piccolo resto, mai la somma.
Non c’è esame da superare in quelle braccia allargate che ci attendono, non c’è pietra da scagliare, per una volta, per due volte, per mille volte. Non c’è pietra da lanciare…nella tomba da noi scavata con dita frenetiche. C’è l’oscurità dell’inquietudine, dei tormenti, nella soddisfatta lapidazione che ipocritamente cura le nostre cecità.
Mentre sulle nostre incertezze, fragilità e facili conclusioni, Cristo non muore, risorge e rinnova la promessa che fu tradita, e finalmente in noi cresce il desiderio profondo di accorciare le distanze e avvicinarci a quei piedi scomposti e feriti, aggrappandoci a quelle ali dispiegate, nell’irrefrenabile bisogno di schiodare quel corpo dalle travi incrociate e liberare ciò che ci portiamo dentro: libertà di amarlo davvero, uscendo da noi stessi non più prigionieri di noi stessi.

Nessun commento: