venerdì 19 febbraio 2016








                          GIORDANO BRUNO   

 

                     VITA PROCESSO ROGO 

 

 Nella ricorrenza  della morte di Filippo Bruno, noto con il nome di Giordano Bruno (1548 –1600) e giustiziato, come si sa, in Campo de’ Fiori, a Roma.

 

Tale episodio – certamente triste – viene puntualmente ricordato e presentato come prova dell’odio che la Chiesa nutrirebbe ed avrebbe sempre nutrivo nei confronti della razionalità e libero pensiero, di cui il celebre frate domenicano sarebbe stato campione. Ora, benché gli storici abbiano da tempo fatto chiarezza su molti aspetti della vicenda, i più ne hanno ancora un’idea molto parziale, ragion per cui può giovare ricordare sinteticamente alcuni passaggi.

Il primo concerne proprio la figura di Bruno, che sarebbe incauto considerare  paladino del mondo scientifico o simbolo del pensiero razionale. Il filosofo di Nola, infatti, era attirato anzitutto dal mondo della magia: scrive per esempio lo storico Mircea Eliade (1907 –1986) che se costui «accolse con tanto entusiasmo le scoperte di Copernico, fu anche perché riteneva che l’eliocentrismo avesse un profondo significato religioso e magico» e «quando si trovava in Inghilterra […] profetizzò il ritorno imminente della religione magica degli antichi Egizi quale veniva descritta nell’Asclepius» (Storia delle credenze e delle idee religiose, Bur, vol.III, p. 279).
Anche il temperamento dell’uomo non era esattamente mite, come mostra quanto accadde a Ginevra, capitale del calvinismo, dove Bruno arrivò nel 1579 dando presto alle stampe un testo attraverso il quale – mentendo platealmente, a quanto pare – attaccava violentemente un professore del luogo che non gli aveva fatto nulla. Per questo venne processato dai membri del Concistoro – non cattolico, ma calvinista appunto – e costretto in ginocchio a lacerare il suo opuscolo, ammettendo la propria colpa. Dunque il rapporto di Bruno non fu tempestoso solamente con la Chiesa di Roma.
 il processo si concluderà nel 1593 con un non luogo a procedere, ma in conseguenza di nuove denunce e testimonianze ve ne fu una seconda fase del processo, che durò dal 1593 fino al rifiuto della ritrattazione e all’esecuzione capitale, appunto, il 17 febbraio del 1600. C’è da dire che Bruno gettandosi ai piedi degli inquisitori implorando perdono, avrebbe potuto salvarsi abiurando le proprie tesi, cosa che gli fu chiesta anche da san Roberto Bellarmino (1542–1621), che lo incontrò per salvargli la vita (Cfr. Ciliberto – Giorello, Giordano Bruno, Milano 2004, p. 91).
Ciò nonostante le cose andarono come sappiamo e non manca nella Chiesa – di allora e di oggi – il rammarico per una vicenda così drammatica ma che però sarebbe scorretto giudicare con la mentalità di oggi.
 Bruno martire della scienza, come i grandi scienziati assassinati, di fatto, la storia è costellata : pensiamo a quando i mitici rivoluzionari francesi ghigliottinarono chimico Antoine Lavoisier (1743–1794), un gigante assoluto, oppure al filosofo, matematico e specialista in ingegneria elettrotecnica Pavel Florenskij (1882-1937), da alcuni ribattezzato il Leonardo da Vinci russo e morto fucilato dal regime comunista; persone le cui morti rimangono ben poco commemorate. Chissà come mai.

E.M




 

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