giovedì 31 dicembre 2015
mercoledì 30 dicembre 2015
martedì 22 dicembre 2015
AUGURI
SERENO NATALE
SFAVILLANTE E ESORBITANTE
UN 2016 MAGICO
RICOLMO D'AMORE E DI TENEREZZA, DOVE I SENTIMENTI TOCCANO IL CUORE DI OGNI PERSONA
L'AMORE E' OVUNQUE, IN OGNI NOSTRA AZIONE PROPOSTA NELLA VITA!
A VOI TUTTI PERSONE SPECIALI E AGLI AMICI RARI, COME STELLE, SUFFICIENTI A RENDERE MIGLIORE QUESTO MONDO!!
lunedì 21 dicembre 2015
STELLA COMETA ANNUNCIA!!
Torna come ogni anno al Santuario Francescano di Greccio (Rieti), la più famosa rappresentazione storica del Primo Presepe della storia avvenuto nel Natale del 1223 grazie a San Francesco di Assisi
con l’aiuto del Nobile Signore di Greccio Giovanni Velita. Il presepe
di Greggio non è da non confondere con le miriadi di presepi popolari in
quanto è una rappresentazione storico – teatrale, vede la partecipazione di personaggi in costumi medievali ed è realizzata in sei quadri viventi.
1246.
I frati francescani di Greccio tornano al loro romitorio dopo la dura
giornata di lavoro nei campi, non prima di essere passati nella
chiesetta del borgo per la consueta preghiera della sera. A distanza di
venti anni dalla morte del santo Francesco di Assisi, Frate Leone, primo
suo compagno insieme a frate Angelo e frate Ruffino, è incaricato dal
Ministro Generale dell’Ordine dei Frati Minori, di compilare una sintesi
degli episodi della vita del Beato Padre. Il piccolo borgo di Greccio,
si anima. Le case si illuminano ed i giovani festeggiano in taverna
mentre popolani e bambini accorrono in piazza. I tre frati, uscendo
dalla chiesa, si fanno incontro alla popolazione del borgo e conversano
con gli abitanti.
Frà
Silvestro e Frate Egidio raccontano come Francesco fu accolto ed amato
dai grecciani, definita da lui stesso, “gente rozza e selvaggia”. Frate
Leone, dietro richiesta dei grecciani, racconta uno dei tanti episodi
della vita di Francesco nel luogo di Greccio “l’incontro con un bimbo e
del leprotto preso vivo al laccio”… Il serafico Padre Francesco appena
giunto a Greccio, intorno al 1209 trovò rifugio, per lui e per i suoi
confratelli, presso un romitorio posto in una zona impervia a 1200
metri di altezza sul Monte Lacerone chiamata “La Cappeletta”
Novembre
1223. Su preghiera della nobildonna Jacopa dei Settesoli e del
Cardinali Ugolino, Papa Onorio III riceve alla corte papale in Roma
Francesco ed il suo gruppetto di fraticelli. Il poverello di Assisi
ormai quasi cieco, dopo aver contratto in Oriente una grave malattia
agli occhi, chiede l’autorizzazione alla predicazione del Vangelo e la
bolla papale che riconosca le norme di vita dei frati raccolte in una
Regola scritta dal Santo e dettatagli dal Signore stesso a Fonte
Colombo, nei pressi di Rieti.
Francesco richiede, inoltre, l’autorizzazione per realizzare un presepe a Greccio in una grotta del tutto simile a quella di Betlemme che ricordi la povertà in cui nacque il Bambino Gesù. Il Papa accoglie la prece e consegna la tanto sospirata Regola Bollata “Solet Annuere” a Francesco.
Di
ritorno al borgo di Greccio, Francesco malridotto ma felice, incontra
Giovanni Velita. Costui interroga il santo uomo sulle vicende romane e
promette di aiutarlo a realizzare il presepe che verrà allestito proprio
la notte di quel Natale del 1223. La grotta dove Francesco si
raccoglieva sempre in preghiera, verrà animata dalla presenza dell’asino
e del bue, mentre una povera mangiatoia accoglierà il bambinello Gesù.
Madonna
Alticama, moglie di Giovanni Velita, ha confezionato con le sue proprie
mani un’immagine del bambino. All’annuncio dell’araldo, tutti gli
abitanti di Greccio in quella notte santa, si preparano alla processione
che condurrà alla grotta per venerare Gesù nell’umile mangiatoia. Il
bambinello sembra prendere vita tra le braccia di Francesco il quale con
gioia ineffabile ed indicibile comunica alla gente lì riunita che Gesù,
con il suo grande amore, nacque in una fredda sera come quella di
Greccio, in quella stessa povertà, per la salvezza di tutti noi.
sabato 19 dicembre 2015
UNA PICCOLA GRANDE DONNA
MADRE TERESA DI CALCUTTA
PREMIO NOBEL
PER AIUTARE I PIU'POVERI FRA I POVERI
CANONIZZAZIONE NEL 2016
Papa Francesco ha spianato la strada per la sua santità, approvando un decreto che riconosce un miracolo attribuito alla sua intercessione presso Dio.
Madre Teresa, morta nel 1997, all'età di 87, è stato beatificato nel 2003 da Papa Giovanni Paolo II. Beatificazione, che richiede un miracolo, è l'ultimo passo prima della santità.
Il secondo miracolo attribuito all'intercessione di Madre Teresa, che è richiesto per la canonizzazione, ha coinvolto la guarigione inspiegabile di un uomo brasiliano che soffriva di un più tumori cerebrali, secondo i media cattolici.
I parenti hanno pregato a Madre Teresa e lui recuperato, lasciando i medici in perdita per spiegare come.
Conosciuta come la "santa dei bassifondi", la suora diminutivo dovrebbe essere canonizzato ai primi di settembre. Non è chiaro se la cerimonia si svolgerà a Roma, o se il papa si recherà in India per presiederlo.
Madre Teresa è nata Anjezë Gonxhe Bojaxhiu di genitori albanesi in Macedonia nel 1910 in quella che allora era parte dell'Impero Ottomano.
Ha fondato le Missionarie della Carità per aiutare i poveri per le strade di Calcutta e l'ordine religioso più tardi diffusa in tutto il mondo. Ha vinto il Premio Nobel per la Pace nel 1979.
E. M
martedì 15 dicembre 2015
RIVOLUZIONARIO DELLA VERITA'
"COSA C'E' DI SBAGLIATO NEL MONDO"
DAL PROFETICO
GILBERT K. CHESTERTON
SIAMO UOMINI E NON FANTOCCI
A più di cento anni di distanza le intuizioni sono ancora lucide, e certi testi, come quello che stiamo per recensire, è forse più che lucido: è rivoluzionario.
Rivoluzionario come la verità. Rivoluzionario come un grido di libertà di fronte al tiranno dispotico. La forza di questo e di altri testi è di avere un linguaggio semplice e tuttavia non banale ma soprattutto di avere una ironia che rende possibile prendersi gli schiaffi che l’Autore ci dedica per svegliarci da un certo atteggiamento borghese, senza per questo avercela con lui. Insomma gli siamo grati due volte: la prima per la sveglia ricevuta, la seconda per le parole – parole semplici, schiette – che ci mette in bocca, una su tutte: libertà.
La nostra società sta provando quello che Chesterton aveva previsto cent’anni fa. Enorme disparità tra ricchi e poveri, la famiglia considerata d’impaccio mentre si cerca di sdoganare come famiglie cose che non lo sono, la scuola un caos, l’educazione come addestramento di animali da circo, le nostre libertà basilari attaccate e l’invenzione di “nuovi diritti” in nome di non si sa bene cosa, se non l’arbitrio e la dittatura del relativismo. «Non solo siamo tutti nella stessa barca ma abbiamo tutti il mal di mare», dice Chesterton.Le parole di GKC sono un monito per tutti coloro che vogliono essere chiamati uomini e non fantocci:
«Nessun uomo domanda più ciò che desidera, ogni uomo chiede quello che si figura di poter ottenere. E rapidamente la gente si dimentica ciò che l’uomo voleva davvero in principio; e dopo una vita politica vivace e di successo, un uomo dimentica se stesso. Il tutto diventa uno stravagante tumulto di seconde scelte, un pandemonio di ripieghi. Questo tipo di flessibilità non solo impedisce ogni robustezza eroica, ma impedisce anche un qualsiasi compromesso realmente pratico».
L’uomo, con la sua scanzonata predilezione per la compagnia, la donna, con la sua ardente dedizione universale, il bambino, con la sua spaventosa meraviglia verso i colori; ecco la casa di cui il Creatore pensò che fosse cosa buona. Quel regno anarchico le cui uniche leggi sono la diversità e il dilettantismo, cioè la sacralità dell’individuo e la voglia di partecipare al disegno della Creazione, alla meno peggio, il che vuol dire con tutto se stessi.
L’uomo si è smarrito da sempre. È stato un vagabondo fin dal tempo dell’Eden, ma ha sempre saputo, o pensato di sapere, cosa stava cercando. Da qualche parte, nel cosmo che ogni uomo si figura, c’è una casa; c’è sempre una casa che lo aspetta, sia essa sommersa nei fiumi tranquilli del Norfolk o sotto il sole delle colline del Sussex.
L’uomo è sempre stato alla ricerca della sua casa ed essa è il vero soggetto di questo libro. Ma in mezzo alla tetra e tremenda grandinata di scetticismo a cui è stato soggetto da molto tempo e fino a ora, l’uomo per la prima volta è stato investito dal gelo, che ha ricoperto non solo le sue aspettative, ma i suoi desideri. Per la prima volta nella storia l’uomo ha cominciato a dubitare del motivo per cui vaga sulla terra. Si è smarrito da sempre, ma adesso ha perso anche l’indirizzo di casa sua.La casa come mezzo per la felicità e l’indipendenza dal potere, la difesa della piccola proprietà come mattone sul quale edificare una casa assai più sicura: la famiglia, già all’epoca messa in mora e oggi più che mai sotto minaccia
Sotto la pressione di certe filosofie della classe aristocratica l’uomo medio è diventato disorientato rispetto all’obiettivo dei suoi sforzi e i suoi sforzi sono, perciò, diventati sempre più fiacchi. La semplice idea di avere una casa propria viene derisa come borghese, sentimentale, detestabilmente cristiana.
E. M
domenica 13 dicembre 2015
13 DICEMBRE
SANTA LUCIA
ISPIRO' DANTE ALIGHIERI
NELLA DIVINA COMMEDIA
La figura di santa Lucia, nel corso dei secoli, è stata fonte di ispirazione non soltanto sul piano strettamente religioso e teologico, ma anche artistico, e soprattutto letterario. Essa ha trovato spazi sia nella letteratura colta che in quella legata alla tradizione popolare, di questo o quell'ambiente in cui si è, in varia misura, radicato il culto verso la martire siracusana.
Nell'ambito della tradizione letteraria propriamente detta, la figura della santa ispirò Dante Alighieri. Il poeta nel Convivio afferma di aver subìto in gioventù una lunga e pericolosa alterazione agli occhi a causa delle prolungate letture (Convivio, III-IX, 15), ottenendo poi guarigione per intercessione della santa siracusana. Gratitudine, speranza e ammirazione indussero quindi il sommo poeta ad attribuirle un ruolo fondamentale non soltanto nella sua vicenda personale, ma anche, allegoricamente e simbolicamente, in quella dell'umanità intera nel suo viaggio oltremondano descritto nella Divina Commedia.
Secondo Salvatore Greco[12] Santa Lucia, nelle tre cantiche, diventa il simbolo della "grazia illuminante", per la sua adesione al Vangelo sino al sacrificio di sé, dunque "via", strumento per la salvezza eterna di ogni uomo, oltre che del Dante personaggio e uomo.
Questa interpretazione religiosa della personalità storica della vergine siracusana, quale santa che illumina il cammino dell'uomo nella comprensione del Vangelo e nella fede inCristo, risale già ai primi secoli della diffusione del suo culto. Così, infatti, l'hanno esaltata, promuovendone la devozione, papa Gregorio I, Giovanni Damasceno, Aldelmo di Malmesbury e tanti altri. Ed è a questa interpretazione della figura di santa Lucia, che si collega Dante, in aspra e aperta polemica con il contesto storico di decadenza morale, politica, civile del suo tempo; tema, peraltro, di fondo che percorre tutta l'opera dalla "selva oscura" all'ascesa verso l'"Empireo".
Se esaminiamo con attenzione la figura della martire nella Divina Commedia, si scorge in Lei un personaggio che ci appare vivo e reale nel coniugare in sé qualità celestiali e umane allo stesso tempo. È creatura celeste e umana; quando su invito di Maria scende dall'Empireo, per avvertire Beatrice dello smarrimento di Dante e del conseguente pericolo che incombe su di lui:
« Questa [e cioè la "donna gentil", Maria indicata sempre così in tutta l'opera; n.d.r.] chiese Lucia in suo dimando / e disse: Or ha bisogno il tuo fedele / di te, ed io a te lo raccomando. / Lucia, nimica di ciascun crudele, / si mosse... » |
(Dante Alighieri, Inferno II, 92-96) |
A questo punto la santa si rivolge a Beatrice, la donna amata dal poeta, invitandola a soccorrere Dante personaggio prima che sia troppo tardi:
« Beatrice, loda di Dio vera, / ché non soccorri quei che t'amò tanto, / ch'uscì per te de la volgare schiera? / Non odi tu pietà del suo pianto? / Non vedi tu la morte che 'l combatte / Su la fiumana ove 'l mar non ha vanto? » |
(Inferno II, 103-108) |
E ancora, nel 2º regno oltremondano, il Purgatorio, santa Lucia è creatura umana, materna nel prendere Dante assopito, dopo un colloquio con illustri personaggi in una località amena (la "Valletta dei Principi"), ed a condurlo alla porta d'ingresso del Purgatorio:
« Venne una donna e disse: I' son Lucia / lasciatemi pigliar costui che dorme; / sì l'agevolerò per la sua via » |
(Purgatorio, IX, 55-57) |
E così, dopo averlo aiutato ad intraprendere il difficile cammino di salvezza, a seguito dello smarrimento nella "selva oscura", lo mette in condizione di intraprendere il percorso della purificazione dei propri peccati. Anche qui Dante personaggio, per influsso senz'altro del Dante autore e uomo a lei "fedele", accenna ancora una volta alla luminosa bellezza degli occhi della martire, non senza rimandi simbolici:
« Qui ti posò ma pria mi dimostraro / li occhi suoi belli quella intrata aperta: / poi ella e 'l sonno ad una se n'andaro » |
(Purgatorio IX, 61-63) |
Infine, la vergine siracusana è spirito celeste, quando al termine del viaggio ultraterreno, nel Paradiso, Dante personaggio su indicazione di S. Bernardo, la rivede nel primo cerchio dell'Empireo, accanto a sant'Anna e a san Giovanni Battista, nel trionfo della Chiesa da lei profetizzato durante il martirio:
« Di contr' a Pietro vedi sedere Anna, / tanto contenta di mirar sua figlia / che non move occhio per cantare osanna. / E contro al maggior padre di famiglia / siede Lucia, che mosse la tua donna, / quando chinavi, a ruinar, le ciglia » |
(Paradiso, XXXII, 133-138) |
Dante, raggiunta la pienezza della sua ascesa, associa questa volta significativamente la figura di S. Lucia a quella della Madre di Maria, S. Anna, collocandola di fronte ad Adamo, il capostipite del genere umano. Maria, Beatrice, Lucia sono le tre donne che hanno permesso, per volere divino, questo cammino di redenzione al personaggio Dante, ma tra di esse, la vergine siracusana rappresenta per il sommo poeta, l'ineludibile anello di congiunzione (e quindi il superamento) fra l'esperienza terrena del peccato e il provvidenziale cammino ascetico-contemplativo dell'esperienza oltremondana.
E.M
mercoledì 9 dicembre 2015
UN INEDITO DEL CANTAUTORE
FABRIZIO DE ANDRE'
UNA POESIA PER SAN FRANCESCO
IL CENTRO STUDI DI SIENA CUSTODISCE L'INEDITO
Siena, Facoltà di Lettere dell'Università, Centro interdipartimentale di studi Fabrizio De André. Un archivio che custodisce un tesoro, perché qui confluisce - con periodici nuovi arrivi - tutto il materiale dell'artista scomparso l'11 gennaio 1999. E poi l'agenda.
Ci sono fogli sparsi, minute di lettere scritte da Dori Ghezzi, sua moglie, dopo la morte di Fabrizio. La prima pagina si apre con il nome e i riferimenti di uno pneumologo. Dietro, la simbolica fotografia di tre uomini che tirano a forza una corda, con molta fatica. Poi conti, appunti, recapiti telefonici. E ancora: disegni, annotazioni di carattere gastronomico e agricolo. Le sue passioni. Quindi citazioni di sue nuove composizioni, alle quali Fabrizio stava lavorando. Titoli di libri che potevano servire come spunti. Continuo a sfogliare. Ci sono le medicine da prendere, annotate una per una. Frasi sparse. "Ecco", fa notare Vera Vecchiarelli, l'archivista che fa da guida nel Centro studi senese, "qui la scrittura a un certo punto diventa più incerta".
Quasi non ci si crede: proprio il santo fonte di ispirazione per il nuovo Papa, Jorge Mario Bergoglio. È in stampatello. Un testo che arriva all'improvviso a confermare la consonanza di temi fra De André e il Pontefice. Perché proprio gli ultimi, i diseredati, sono i protagonisti della poetica di Fabrizio prima che il Papa Francesco ne facesse il suo campo di battaglia. Si prosegue. Altre frasi rapide, una, due righe. Poi, un lungo spazio bianco, pagine non scritte. Solo in fondo c'è un appunto più lungo.
È quello finale. Il suo ultimo pensiero scritto. "Noi cantastorie andiamo in giro sollevando la polvere dai fatti memorabili, cerchiamo di farne mito o leggenda (abbiamo, a differenza dei giornalisti, la licenza di stravolgere) e se ci riusciamo davvero possiamo diventare OMERO, se non ci riusciamo per niente andiamo a comprare i giornali nelle edicole". Tipicamente deandreiano. Nella commistione fra alto e basso, nella chiusa finale: amara ma ironica. Ecco: in quello che è il suo ultimo appunto, Fabrizio ha riflettuto sul proprio mestiere. Ne ha difeso l'approccio e i modi. Si è riallacciato ai classici. E ha concluso con una frase spiazzante. Da Milano la Fondazione Fabrizio De André, presieduta da Dori Ghezzi, conferma: sì, questi pensieri sono scritti da Faber di suo pugno.
Su uno scaffale si intravede un altro quaderno. Ha un colore verde chiaro, un nome - Outport Land - in stile marinaro. È di qualche anno precedente. Dentro c'è una poesia, bellissima e terribile. Il titolo è Il testamento.
Accomuna la morte del padre Giuseppe, per anni amministratore delegato di Eridania, e del fratello maggiore di Fabrizio, Mauro, notissimo avvocato a Genova. Vera Vecchiarelli mostra nel dettaglio come De André operava nella stesura delle sue canzoni: "Fabrizio aveva la mania di annotare tutto quello che faceva, anche nelle cose quotidiane: da come prepararsi per i concerti ai concetti da esprimere fra una canzone all'altra, dagli alimenti da assumere quando voleva fare dieta alle formazioni della squadra del Genoa la domenica. A volte ho l'impressione che scrivesse tutto come per farsi leggere, un giorno, da chi avrebbe aperto i suoi quaderni. E tutto ciò che faceva, lo faceva molto seriamente, in maniera meticolosa, strutturata".
Il Centro studi di Siena custodisce in realtà il metodo di De André. Lo stesso che la studiosa Marianna Marrucci, che ha collaborato all'archivio, definisce come una "poetica del "saccheggio"". E cioè, "un riuso originalissimo delle proprie letture: idee, temi, immagini, versi, sintagmi migrano dalla pagina alla voce in un impasto tanto più eterogeneo quanto più coerente e originale". Una visita qui permette di capire come Fabrizio studiasse i testi e li annotasse per poi riutilizzarli nelle bozze di lavoro. E la mole di volumi consultati per scrivere un brano di pochi minuti poteva essere impressionante. Segnati ovunque: sul frontespizio, nelle pagine bianche, in cima, in fondo, ai lati come se fossero glosse, su fogli che prendeva e accludeva. Il "saccheggio" consisteva poi nell'individuazione di un termine, una frase, un concetto, che venivano cerchiati, prelevati e incastonati nel nuovo lavoro, quindi rielaborati in modo magari molto diverso rispetto alla fonte originaria.
E. M
martedì 8 dicembre 2015
"TOTAS PULCHRA"
PAPA FRANCESCO
TRADIZIONALE ATTO DI VENERAZIONE
Oggi, solennità dell’Immacolata Concezione, dopo la Messa di apertura del Giubileo della misericordia e la recita dell’Angelus di questa mattina, alle 16 Papa Francesco si e' recato in piazza di Spagna per il tradizionale atto di omaggio e venerazione alla statua dell’Immacolata.
Il monumento alla Vergine è stato inaugurato l’8 settembre 1857, tre anni dopo la definizione del dogma dell’Immacolata Concezione di Maria da parte di Pio IX (8 dicembre 1854). È stato Pio XII ad avviare la tradizione dell’invio dei fiori per l’occasione. Nel 1958 Giovanni XXIII si è recato in piazza di Spagna e ha deposto ai piedi del monumento un cesto di rose bianche, consuetudine mantenuta da Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI.
La visita di Papa Francesco all’Immacolata e' stato un momento di preghiera con l'introduzione della lettura del brano dell’Apocalisse dedicato alla donna che schiaccia la testa al drago.
A seguire l’allocuzione del Santo Padre, che al termine ha offerto un omaggio floreale alla Vergine accompagnato dal canto delle litanie lauretane, la recita dell’Ave Maria e la benedizione finale. Conclude l’atto di omaggio il canto dell’antico inno “Tota Pulchra”.
E. M
lunedì 7 dicembre 2015
ANNO DELLA MISEICORDIA
GIUBILEO STRAODINARIO 2015
LE "VIE SANTE" DA PERCORRERE
8 DICEMBRE FESTA DELL'IMMACOLATA CONCEZIONE
DA INIZIO ALL'ANNO GIUBILARE DELLA MISERICORDIA
I pellegrini
potranno organizzare diversi itinerari “fai da te” sulle “vie della
Misericordia”. Itinerari che si dislocano a piedi tra i principali
luoghi sacri di Roma.
IL CAMMINO DEL PAPA
Il “cammino papale”, come spiega Il Tempo (3 dicembre), è il percorso seguito per secoli dai papi dalla Basilica di San Giovanni in Laterano alla Basilica di San Pietro e viceversa, passando attraverso via dei Santissimi Quattro, il Colosseo, via dei Fori Imperiali e il carcere Mamertino. Prosegue poi per il Campidoglio fino a Castel Sant’Angelo e quindi San Pietro con due varianti: una che passa da via dei Banchi Nuovi (chiesa Santa Maria in Vallicella) e l’altra per via dei Coronari (chiesa San Salvatore in Lauro).
SULLE TRACCE DEL PELLEGRINO
Il “cammino del pellegrino” parte dalla Basilica di San Giovanni in Laterano fino alla Basilica di San Pietro e viceversa, passando per via
di San Paolo alla Regola, piazza e chiesa della SS. Trinità dei
Pellegrini, via Giulia, San Giovanni dei Fiorentini, Castel Sant’Angelo,
San Pietro.
LA VIA DELLA MADONNA
Infine il “cammino mariano” inizia alla Basilica di Santa Maria Maggiore e porta alla Basilica di San Pietro e viceversa, passando per via Urbana, via Madonna ai Monti, via Tor dei Conti e via dei Fori Imperiali, fino al carcere Mamertino.
Da qui si connette con il primo e secondo itinerario nella parte comune
fino a piazza Navona dove si sdoppiano per confluire alla Basilica di
San Pietro.
Su ogni via giubilare, ci sarà il passaggio attraverso una Chiesa giubilare: San Giovanni dei fiorentini, Chiesa Nuova, Santa Maria in Vallicella, e San Salvatore in Lauro.
“ROME JUBILEE”
Chi non vuol spostarsi a piedi ma con i mezzi
pubblici potrà invece avere a portata di mano un pacchetto speciale per i
trasferimenti da un luogo all’altro della Capitale: la “Rome Jubilee”. Sulla card sarà possibile “caricare” tutta l’offerta turistica di Atac in occasione del Giubileo:
dal ticket giornaliero a quello settimanale, fino all’abbonamento
mensile per tutti i mezzi pubblici della Capitale e utilizzabile sul
circuito Metrebus (Cinquequotidiano.it, 3 dicembre).
E. M
lunedì 30 novembre 2015
martedì 17 novembre 2015
COMANDANTE A.
COMANDANTE ALFA
L'UOMO DALLE MILLE MISSIONI
"OGNI GIORNO RISCHIO LA MIA VITA..MA DIO MI PROTEGGE"
“Sono cattolico e penso di essere molto credente. Ho molta fede in Dio e ogni mio passo è rivolto a lui”. Il “mefisto” lascia intravedere solo lo sguardo mentre il leggero accento siciliano tradisce la sua provenienza. E’ questa la carta d’identità mostrata alla rivista “Credere” (15 novembre) dal comandante Alfa, uno dei cinque fondatori del Gis, il Gruppo d’intervento speciale voluto nel 1977 dall’allora ministro dell’interno Francesco Cossiga.
Un reparto d’élite, formato da uomini addestrati duramente per far fronte e risolvere le situazioni più a rischio come rapimenti, liberazione di ostaggi e dirottamenti di aerei.
Nel 1990 liberò Patrizia Tacchella, 8 anni, figlia del titolare del celebre marchio di abbigliamento Carrera. Nel 1997 Alfa era a Venezia per fermare gli assalitori del campanile di San Marco. Nel 2004 era in Iraq e ancora oggi non dimentica gli occhi gonfi di lacrime di un bimbo incontrato in un palazzo sventrato i Nassiriya.
Da uomo d’azione qual è abituato a guardare in faccia la morte, non ci si aspetterebbe un animo tanto delicato e proteso verso Dio, eppure ammette: “Alle volte, con il lavoro che faccio, mi risulta difficile essere assiduo nella frequentazione della Messa ma per la mia famiglia è un appuntamento irrinunciabile, quando sono a casa vado in chiesa con i miei ragazzi”.
Il comandante Alfa parla poi delle sue “due mamme”. Di sua madre dice: “La ingrazierò per sempre di avermi dato un’educazione cristiana e di essere stata per me un esempio di onestà e legalità”. Ed aggiunge poi di nutrire un amore particolare e tutto filiale anche per la Madonna – “Maria è la nostra mamma, la mamma di tutti, che posa il suo sguardo benevolo sui suoi figli e ci protegge” -, oltre ad essere particolarmente legato al santuario di Montenero, posto su una collina che domina il porto di Livorno.
Una fede robusta la sua alimentata dalla preghiera: “Prego per i figli, la salute, la famiglia. In più, come operatore del Gis, è inevitabile chiedere a Dio protezione per la propria vita e per quella dei colleghi, che sono una seconda famiglia, e la buona riuscita delle operazioni: che non ci siano né morti né feriti, e che riceviamo tanta forza morale e spirituale per poter affrontare situazioni complicate”.
La sua giornata, spiega, “inizia affidando aspettative, paure e speranze a Dio facendo un segno della Croce e ricordando a noi stessi e ai giovani carabinieri del reparto di mettere da parte ogni esaltazione. Esiste un solo Dio e non ha certamente le sembianze di un carabiniere del Gis”.
E. M
venerdì 13 novembre 2015
UN ALANO PER AMICO
STORIA DI GUARIGIONE
BELLA E GEORGE
L'AIUTO DEL SUO AMICO A QUATTRO ZAMPE HA CAMBIATO LA VITA ALLA DOLCE BELLA. UNA STORIA COMMOVENTE E PRODIGIOSA CHE CONFERMA IL POTERE REALE DEGLI ANIMALI NELL'AIUTO ALLA SOFFERENZA!
Bella studia nel 5 ° grado. La sua migliore amica è stata un alano di nome George. Quel cane ha cambiato radicalmente la vita di questa bambina sveglia, e supporto come aiuto a combattere la malattia. Quasi tutta la sua vita passata con una malattia rara Bell che non poteva camminare da sola. Si muoveva solo con le stampelle o una sedia a rotelle. Tutto è cambiato nel 2015.
Fu allora che Bella e sua madre hanno visitato il centro di addestramento del cane, che contengono cani da fiuto appositamente addestrati. La mamma voleva davvero trovare alla ragazza cani addestrati che avrebbero aiutato la sua passeggiata. Ma quando sono arrivati al centro, la maggior parte dei cani non hanno mostrato alcun interesse per loro.
E poi c'era George, che è venuto solo dal primo minuto per la ragazza agendo con molta attenzione e con attenzione. Sembrava che tra loro c'era una volta un legame invisibile. Da allora, sono rimasti inseparabili, e la condizione di Bella è cambiato in un modo incredibile ... Quando Bella aveva solo 2,5 anni, gli era stato diagnosticato la sindrome di Morquio. È una malattia genetica rara che colpisce le ossa e provoca un sacco di problemi di salute, con conseguente ridotta all'aspettativa di vita.
I genitori sono stati scioccati da questa diagnosi. Davanti a loro c'era una vita dura, e 30-50 operazioni ...
Oggi, condividono la storia del loro bambina e la speranza di una cura.
Ogni singolo caso di malattia ha le proprie caratteristiche. Bella vive con dolore costante la maggior parte della sua vita che non poteva camminare senza stampelle o una sedia a rotelle.
Nel 2015, la vita di questa bambina adorabile improvvisamente cambiato in meglio. Bella è venuto George, un alano con cui una volta apparsi legame invisibile.
Dopo l'incontro con George Campana ha gettato le stampelle. Ora il cane va dappertutto con lei, contribuendo ad andare a scuola e fa tutto con lei. La bambina dice: "Mi aiuta a andare, faccio affidamento su di lui come una stampella!"
Questo incredibile commovente storia dimostra ancora una volta che gli animali hanno un potere reale -. Non solo ci danno un sacco di positivita', ma anche a contribuire a migliorare la salute e la vita!
E. M
giovedì 5 novembre 2015
VATICANO
MONSIGNORE E LA LOBBISTA
AUTOGOL TRASFORMATO IN GOL
A VANTAGGIO SULLA TRASPARENZA E POVERTA' DELLA CHIESA
Padre Lombardi, «è stata tradita la fiducia del papa». Però la gravità di quello che è accaduto – una montagna di file “sensibili” sono stati inoltrati a due noti giornalisti che da tempo scavano nei bassifondi vaticani – non risiede solo nell’atto di divulgare file segreti, ma anche nei fatti di cui si parla. Fatti tutti da verificare, così come le accuse gratuite e i teoremi elaborati da Nuzzi e Fittipaldi, autori dei due libri in uscita. Papa Francesco non lascerà correre tanto facilmente quanto è accaduto.
Tuttavia non ritengo che ci si trovi dinanzi a un Vatileaks 2. Le differenze con lo scandalo precedente legato al “maggiordomo” Paolo Gabriele sono macroscopiche.
Non ci sono più maggiordomi e segretari “onnipresenti” e servitori vari. Il papa porta con sé la sua cartella nera. Non è stato violato il suo appartamento e la sua intimità.
I due personaggi arrestati agiscono evidentemente della sorte perché già emarginati dagli organismi nei quali erano stati eletti a gran sorpresa di tanti. Con grande probabilità, si tratta semplicemente di vendetta.
Lo scandalo viene fuori perché stanno cominciando a funzionare i meccanismi di autocontrollo istituiti dal papa, e questo non può essere che un bene.
Le questioni in ballo sono “solo” di soldi, e non di altra natura.
Non cerchiamo paragoni impossibili, i tempi sono diversi. Papa Francesco non è papa Benedetto: se il primo è nel pieno della sua energica riforma della Chiesa, Ratzinger non sembrava avere le forze per reagire, come hanno dimostrato di lì a poco le sue dimissioni.
Che nella Chiesa cattolica vi siano mele marce non è una novità.
Il Vaticano saprà reagire e entrare non solo nella questione giudiziaria dei due arrestati e dei loro eventuali complici, mandanti o conniventi, entrerà anche nel merito di quanto descritto nelle carte trafugate e creare creare meccanismi più efficaci di scelta dei principali collaboratori del papa,.
L’autogol apparente si trasformerà in un bel gol a favore della trasparenza e della povertà della Chiesa.
E.M
martedì 3 novembre 2015
PRESENTE FUTURO
SENECA AFFERMAVA
"IL TEMPO DELL'OCCIDENTE E' LA SCOMMESSA DEL FUTURO". PENSIAMO SEMPRE A QUALE SIA LA VITA, NON A QUANTO SIA LUNGA. VIVIAMO SENZA INDUGI!!
Il mondo occidentale attraversa una grave crisi economica, dietro la quale si affaccia però una crisi politica, culturale e identitaria ancora più preoccupante. In crisi sono pressoché tutte le coordinate culturali di fondo: il tempo, lo spazio, il linguaggio.. propone un primo ciclo di articoli dedicati alle coordinate spazio-temporali. Il primo appuntamento è rivolto all'importanza della riflessione sul tempo presso gli antichi.
“È classico ciò che tende a relegare l’attualità a rango di rumore di fondo, ma nello stesso tempo di questo rumore di fondo non può fare a meno. È classico ciò che persiste come rumore di fondo anche là dove l’attualità più incompatibile fa da padrona”.Conciliazione, o meglio ispirazione, poiché nei classici è possibile ritrovare le radici più profonde del nostro pensiero, la traccia primigenia e indelebile di sentimenti, parole, versi, teorie.
Il “tempo” come concetto filosofico e scientifico era stato naturale oggetto di indagine sin dai tempi più remoti. Seneca Filosofo scrisse pagine sul tempo più significative, incisive e vicine, per sensibilità, alle complesse “discronie” del mondo moderno. Se scontata è l'identificazione dell'uomo contemporaneo, fagocitato dalla frenesia e dalla rapinosità di un tempo mai sufficiente, con gli stolti occupati, gli “affaccendati” in fuga da sé stessi, “un po' del tuo tempo, prendilo anche per te”. Monito che – questa è la grandezza del filosofo – più che mai si adatta all'“alienazione” del tempo presente.
Le parole che Seneca rivolge al discepolo e amico Lucilio, nella prima lettera del celebre epistolario, rappresentano un’incisiva sintesi della riflessione senecana operata sul concetto tradizionale di tempo: per cui sta all’uomo la possibilità di forgiare e di definire contorni, spessore e materia della propria realtà temporale.
La riflessione razionale sul tempo era stata ampiamente affrontata dalla filosofia greca: da Parmenide fino ad Aristotele, l’indagine era stata rivolta all’esamina della natura ontologica del tempo, tentando definizioni che ne individuassero soprattutto le caratteristiche di immutabilità ed eternità.
Allo Stoicismo va il merito di aver interpretato in chiave “dinamica” questo aspetto pregnante di eternità, per cui è nel tempo che tutte le cose si muovono, si manifestano ed esistono. E l'unica dimensione temporale con cui l'uomo ha la possibilità di confrontarsi è naturalmente il presente: “esiste davvero solo tempo presente; il passato e il futuro ci sono, ma non sussistono”, riportando l'insegnamento dello Stoico Crisippo. Lo studioso Alberto Grilli aveva formulato, per quanto riguarda la prospettiva stoica sul tempo, la definizione di “concezione etica, quale coefficiente o determinante del fattore di felicità nell'uomo”, ponendo l'accento sull'aspetto morale evidenziato dallo Stoicismo, per cui è importante il “valore” del tempo, l'impiego che se ne fa.
Per cui si viene a creare una vera e propria dicotomia tra il giustoimpiego del tempo, corrispondente all'esserne padroni, al vivere, e il semplice esse, cioè “esistere”: “non ha vissuto a lungo, ma è esistito a lungo”, si afferma perentoriamente nel De Brevitate vitae, nei confronti di chi semplicemente mostra i segni esteriori della vecchiaia, ma non le tracce di un progresso nel percorso “qualitativo” verso la virtù.
Ancora, nelle Epistole, la voce ammonitoria del filosofo rivolge a Lucilio l'augurio a comprendere quanto prima come il recte vivere non abbia nulla a che fare con lo sterile consumarsi del tempo: “oh quando vedrai quel giorno in cui ti renderai conto che il tempo non ti riguarda!”
La letteratura latina già ci aveva consegnato il celeberrimo motto oraziano del carpe diem, per cui si esortava a godere del presente, a carpire la fugace felicità che vi si può trovare, non dipendendo dalle opprimenti ombre del futuro.: “vivi senza indugio”, che racchiude però una riflessione più complessa, poiché dispiega l'intenzione di un atteggiamento che non si limita a godere dei piaceri momentanei, ma si impone di vivere in una condizione quasi “atemporale” e assoluta, slegata dall'attesa del futuro, e non dipendente dal passato.
Accanto a questa condizione “acronica” del tempo, Seneca ne aggiunge anche una spaziale, “puntualizzando”, cioè definendo la dimensione di “punto” del presente-istante, nello spazio e nell'eternità stessa: “è un punto quello che viviamo, e ancor meno di un punto”.
Ma se costante è l'ammonimento a vivere questa dimensione di “indipendenza temporale” dettata e segnata dal vivere con saggezza, pure frequentemente affiora inquieto il pensiero martellante dello scorrere del tempo, esemplificato magistralmente dalla metafora della corrente rapinosa del fiume.
Questa percezione dell'instabile precarietà delle cose, labile e minacciosa, è tanto più vicina a noi moderni, in quanto trova una ragione umana e concreta nella controversa esperienza biografica senecana,
Ecco quindi che l'esortazione del filosofo è tanto più significativa in quanto proveniente da chi ha sperimentato in prima persona la dolorosa provvisorietà del tutto, quindi il giusto atteggiamento necessario a trasformare il tempus in vivere.
“La vita, se la sai usare, è lunga”, si afferma ancora nel De Brevitate vitae, opera che, più di ogni altra dedicata al tema del tempo, muove dal paradosso stoico che solo il saggio vive più a lungo, mentre allo stolto è riservata una vita ben più breve. “Pensa sempre a quale sia la vita, non a quanto sia lunga”, si afferma ancora: il suo polo veramente positivo, ciò che lo associa alla dignità del vivere, è rappresentato dal conseguimento di una saggezza che per Seneca coincide con il passaggio dalla politica alla vita contemplativa.
E. M
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