giovedì 31 dicembre 2015
mercoledì 30 dicembre 2015
martedì 22 dicembre 2015
AUGURI
SERENO NATALE
SFAVILLANTE E ESORBITANTE
UN 2016 MAGICO
RICOLMO D'AMORE E DI TENEREZZA, DOVE I SENTIMENTI TOCCANO IL CUORE DI OGNI PERSONA
L'AMORE E' OVUNQUE, IN OGNI NOSTRA AZIONE PROPOSTA NELLA VITA!
A VOI TUTTI PERSONE SPECIALI E AGLI AMICI RARI, COME STELLE, SUFFICIENTI A RENDERE MIGLIORE QUESTO MONDO!!
lunedì 21 dicembre 2015
STELLA COMETA ANNUNCIA!!
Torna come ogni anno al Santuario Francescano di Greccio (Rieti), la più famosa rappresentazione storica del Primo Presepe della storia avvenuto nel Natale del 1223 grazie a San Francesco di Assisi
con l’aiuto del Nobile Signore di Greccio Giovanni Velita. Il presepe
di Greggio non è da non confondere con le miriadi di presepi popolari in
quanto è una rappresentazione storico – teatrale, vede la partecipazione di personaggi in costumi medievali ed è realizzata in sei quadri viventi.
1246.
I frati francescani di Greccio tornano al loro romitorio dopo la dura
giornata di lavoro nei campi, non prima di essere passati nella
chiesetta del borgo per la consueta preghiera della sera. A distanza di
venti anni dalla morte del santo Francesco di Assisi, Frate Leone, primo
suo compagno insieme a frate Angelo e frate Ruffino, è incaricato dal
Ministro Generale dell’Ordine dei Frati Minori, di compilare una sintesi
degli episodi della vita del Beato Padre. Il piccolo borgo di Greccio,
si anima. Le case si illuminano ed i giovani festeggiano in taverna
mentre popolani e bambini accorrono in piazza. I tre frati, uscendo
dalla chiesa, si fanno incontro alla popolazione del borgo e conversano
con gli abitanti.
Frà
Silvestro e Frate Egidio raccontano come Francesco fu accolto ed amato
dai grecciani, definita da lui stesso, “gente rozza e selvaggia”. Frate
Leone, dietro richiesta dei grecciani, racconta uno dei tanti episodi
della vita di Francesco nel luogo di Greccio “l’incontro con un bimbo e
del leprotto preso vivo al laccio”… Il serafico Padre Francesco appena
giunto a Greccio, intorno al 1209 trovò rifugio, per lui e per i suoi
confratelli, presso un romitorio posto in una zona impervia a 1200
metri di altezza sul Monte Lacerone chiamata “La Cappeletta”
Novembre
1223. Su preghiera della nobildonna Jacopa dei Settesoli e del
Cardinali Ugolino, Papa Onorio III riceve alla corte papale in Roma
Francesco ed il suo gruppetto di fraticelli. Il poverello di Assisi
ormai quasi cieco, dopo aver contratto in Oriente una grave malattia
agli occhi, chiede l’autorizzazione alla predicazione del Vangelo e la
bolla papale che riconosca le norme di vita dei frati raccolte in una
Regola scritta dal Santo e dettatagli dal Signore stesso a Fonte
Colombo, nei pressi di Rieti.
Francesco richiede, inoltre, l’autorizzazione per realizzare un presepe a Greccio in una grotta del tutto simile a quella di Betlemme che ricordi la povertà in cui nacque il Bambino Gesù. Il Papa accoglie la prece e consegna la tanto sospirata Regola Bollata “Solet Annuere” a Francesco.
Di
ritorno al borgo di Greccio, Francesco malridotto ma felice, incontra
Giovanni Velita. Costui interroga il santo uomo sulle vicende romane e
promette di aiutarlo a realizzare il presepe che verrà allestito proprio
la notte di quel Natale del 1223. La grotta dove Francesco si
raccoglieva sempre in preghiera, verrà animata dalla presenza dell’asino
e del bue, mentre una povera mangiatoia accoglierà il bambinello Gesù.
Madonna
Alticama, moglie di Giovanni Velita, ha confezionato con le sue proprie
mani un’immagine del bambino. All’annuncio dell’araldo, tutti gli
abitanti di Greccio in quella notte santa, si preparano alla processione
che condurrà alla grotta per venerare Gesù nell’umile mangiatoia. Il
bambinello sembra prendere vita tra le braccia di Francesco il quale con
gioia ineffabile ed indicibile comunica alla gente lì riunita che Gesù,
con il suo grande amore, nacque in una fredda sera come quella di
Greccio, in quella stessa povertà, per la salvezza di tutti noi.
sabato 19 dicembre 2015
UNA PICCOLA GRANDE DONNA
MADRE TERESA DI CALCUTTA
PREMIO NOBEL
PER AIUTARE I PIU'POVERI FRA I POVERI
CANONIZZAZIONE NEL 2016
Papa Francesco ha spianato la strada per la sua santità, approvando un decreto che riconosce un miracolo attribuito alla sua intercessione presso Dio.
Madre Teresa, morta nel 1997, all'età di 87, è stato beatificato nel 2003 da Papa Giovanni Paolo II. Beatificazione, che richiede un miracolo, è l'ultimo passo prima della santità.
Il secondo miracolo attribuito all'intercessione di Madre Teresa, che è richiesto per la canonizzazione, ha coinvolto la guarigione inspiegabile di un uomo brasiliano che soffriva di un più tumori cerebrali, secondo i media cattolici.
I parenti hanno pregato a Madre Teresa e lui recuperato, lasciando i medici in perdita per spiegare come.
Conosciuta come la "santa dei bassifondi", la suora diminutivo dovrebbe essere canonizzato ai primi di settembre. Non è chiaro se la cerimonia si svolgerà a Roma, o se il papa si recherà in India per presiederlo.
Madre Teresa è nata Anjezë Gonxhe Bojaxhiu di genitori albanesi in Macedonia nel 1910 in quella che allora era parte dell'Impero Ottomano.
Ha fondato le Missionarie della Carità per aiutare i poveri per le strade di Calcutta e l'ordine religioso più tardi diffusa in tutto il mondo. Ha vinto il Premio Nobel per la Pace nel 1979.
E. M
martedì 15 dicembre 2015
RIVOLUZIONARIO DELLA VERITA'
"COSA C'E' DI SBAGLIATO NEL MONDO"
DAL PROFETICO
GILBERT K. CHESTERTON
SIAMO UOMINI E NON FANTOCCI
A più di cento anni di distanza le intuizioni sono ancora lucide, e certi testi, come quello che stiamo per recensire, è forse più che lucido: è rivoluzionario.
Rivoluzionario come la verità. Rivoluzionario come un grido di libertà di fronte al tiranno dispotico. La forza di questo e di altri testi è di avere un linguaggio semplice e tuttavia non banale ma soprattutto di avere una ironia che rende possibile prendersi gli schiaffi che l’Autore ci dedica per svegliarci da un certo atteggiamento borghese, senza per questo avercela con lui. Insomma gli siamo grati due volte: la prima per la sveglia ricevuta, la seconda per le parole – parole semplici, schiette – che ci mette in bocca, una su tutte: libertà.
La nostra società sta provando quello che Chesterton aveva previsto cent’anni fa. Enorme disparità tra ricchi e poveri, la famiglia considerata d’impaccio mentre si cerca di sdoganare come famiglie cose che non lo sono, la scuola un caos, l’educazione come addestramento di animali da circo, le nostre libertà basilari attaccate e l’invenzione di “nuovi diritti” in nome di non si sa bene cosa, se non l’arbitrio e la dittatura del relativismo. «Non solo siamo tutti nella stessa barca ma abbiamo tutti il mal di mare», dice Chesterton.Le parole di GKC sono un monito per tutti coloro che vogliono essere chiamati uomini e non fantocci:
«Nessun uomo domanda più ciò che desidera, ogni uomo chiede quello che si figura di poter ottenere. E rapidamente la gente si dimentica ciò che l’uomo voleva davvero in principio; e dopo una vita politica vivace e di successo, un uomo dimentica se stesso. Il tutto diventa uno stravagante tumulto di seconde scelte, un pandemonio di ripieghi. Questo tipo di flessibilità non solo impedisce ogni robustezza eroica, ma impedisce anche un qualsiasi compromesso realmente pratico».
L’uomo, con la sua scanzonata predilezione per la compagnia, la donna, con la sua ardente dedizione universale, il bambino, con la sua spaventosa meraviglia verso i colori; ecco la casa di cui il Creatore pensò che fosse cosa buona. Quel regno anarchico le cui uniche leggi sono la diversità e il dilettantismo, cioè la sacralità dell’individuo e la voglia di partecipare al disegno della Creazione, alla meno peggio, il che vuol dire con tutto se stessi.
L’uomo si è smarrito da sempre. È stato un vagabondo fin dal tempo dell’Eden, ma ha sempre saputo, o pensato di sapere, cosa stava cercando. Da qualche parte, nel cosmo che ogni uomo si figura, c’è una casa; c’è sempre una casa che lo aspetta, sia essa sommersa nei fiumi tranquilli del Norfolk o sotto il sole delle colline del Sussex.
L’uomo è sempre stato alla ricerca della sua casa ed essa è il vero soggetto di questo libro. Ma in mezzo alla tetra e tremenda grandinata di scetticismo a cui è stato soggetto da molto tempo e fino a ora, l’uomo per la prima volta è stato investito dal gelo, che ha ricoperto non solo le sue aspettative, ma i suoi desideri. Per la prima volta nella storia l’uomo ha cominciato a dubitare del motivo per cui vaga sulla terra. Si è smarrito da sempre, ma adesso ha perso anche l’indirizzo di casa sua.La casa come mezzo per la felicità e l’indipendenza dal potere, la difesa della piccola proprietà come mattone sul quale edificare una casa assai più sicura: la famiglia, già all’epoca messa in mora e oggi più che mai sotto minaccia
Sotto la pressione di certe filosofie della classe aristocratica l’uomo medio è diventato disorientato rispetto all’obiettivo dei suoi sforzi e i suoi sforzi sono, perciò, diventati sempre più fiacchi. La semplice idea di avere una casa propria viene derisa come borghese, sentimentale, detestabilmente cristiana.
E. M
domenica 13 dicembre 2015
13 DICEMBRE
SANTA LUCIA
ISPIRO' DANTE ALIGHIERI
NELLA DIVINA COMMEDIA
La figura di santa Lucia, nel corso dei secoli, è stata fonte di ispirazione non soltanto sul piano strettamente religioso e teologico, ma anche artistico, e soprattutto letterario. Essa ha trovato spazi sia nella letteratura colta che in quella legata alla tradizione popolare, di questo o quell'ambiente in cui si è, in varia misura, radicato il culto verso la martire siracusana.
Nell'ambito della tradizione letteraria propriamente detta, la figura della santa ispirò Dante Alighieri. Il poeta nel Convivio afferma di aver subìto in gioventù una lunga e pericolosa alterazione agli occhi a causa delle prolungate letture (Convivio, III-IX, 15), ottenendo poi guarigione per intercessione della santa siracusana. Gratitudine, speranza e ammirazione indussero quindi il sommo poeta ad attribuirle un ruolo fondamentale non soltanto nella sua vicenda personale, ma anche, allegoricamente e simbolicamente, in quella dell'umanità intera nel suo viaggio oltremondano descritto nella Divina Commedia.
Secondo Salvatore Greco[12] Santa Lucia, nelle tre cantiche, diventa il simbolo della "grazia illuminante", per la sua adesione al Vangelo sino al sacrificio di sé, dunque "via", strumento per la salvezza eterna di ogni uomo, oltre che del Dante personaggio e uomo.
Questa interpretazione religiosa della personalità storica della vergine siracusana, quale santa che illumina il cammino dell'uomo nella comprensione del Vangelo e nella fede inCristo, risale già ai primi secoli della diffusione del suo culto. Così, infatti, l'hanno esaltata, promuovendone la devozione, papa Gregorio I, Giovanni Damasceno, Aldelmo di Malmesbury e tanti altri. Ed è a questa interpretazione della figura di santa Lucia, che si collega Dante, in aspra e aperta polemica con il contesto storico di decadenza morale, politica, civile del suo tempo; tema, peraltro, di fondo che percorre tutta l'opera dalla "selva oscura" all'ascesa verso l'"Empireo".
Se esaminiamo con attenzione la figura della martire nella Divina Commedia, si scorge in Lei un personaggio che ci appare vivo e reale nel coniugare in sé qualità celestiali e umane allo stesso tempo. È creatura celeste e umana; quando su invito di Maria scende dall'Empireo, per avvertire Beatrice dello smarrimento di Dante e del conseguente pericolo che incombe su di lui:
« Questa [e cioè la "donna gentil", Maria indicata sempre così in tutta l'opera; n.d.r.] chiese Lucia in suo dimando / e disse: Or ha bisogno il tuo fedele / di te, ed io a te lo raccomando. / Lucia, nimica di ciascun crudele, / si mosse... » |
(Dante Alighieri, Inferno II, 92-96) |
A questo punto la santa si rivolge a Beatrice, la donna amata dal poeta, invitandola a soccorrere Dante personaggio prima che sia troppo tardi:
« Beatrice, loda di Dio vera, / ché non soccorri quei che t'amò tanto, / ch'uscì per te de la volgare schiera? / Non odi tu pietà del suo pianto? / Non vedi tu la morte che 'l combatte / Su la fiumana ove 'l mar non ha vanto? » |
(Inferno II, 103-108) |
E ancora, nel 2º regno oltremondano, il Purgatorio, santa Lucia è creatura umana, materna nel prendere Dante assopito, dopo un colloquio con illustri personaggi in una località amena (la "Valletta dei Principi"), ed a condurlo alla porta d'ingresso del Purgatorio:
« Venne una donna e disse: I' son Lucia / lasciatemi pigliar costui che dorme; / sì l'agevolerò per la sua via » |
(Purgatorio, IX, 55-57) |
E così, dopo averlo aiutato ad intraprendere il difficile cammino di salvezza, a seguito dello smarrimento nella "selva oscura", lo mette in condizione di intraprendere il percorso della purificazione dei propri peccati. Anche qui Dante personaggio, per influsso senz'altro del Dante autore e uomo a lei "fedele", accenna ancora una volta alla luminosa bellezza degli occhi della martire, non senza rimandi simbolici:
« Qui ti posò ma pria mi dimostraro / li occhi suoi belli quella intrata aperta: / poi ella e 'l sonno ad una se n'andaro » |
(Purgatorio IX, 61-63) |
Infine, la vergine siracusana è spirito celeste, quando al termine del viaggio ultraterreno, nel Paradiso, Dante personaggio su indicazione di S. Bernardo, la rivede nel primo cerchio dell'Empireo, accanto a sant'Anna e a san Giovanni Battista, nel trionfo della Chiesa da lei profetizzato durante il martirio:
« Di contr' a Pietro vedi sedere Anna, / tanto contenta di mirar sua figlia / che non move occhio per cantare osanna. / E contro al maggior padre di famiglia / siede Lucia, che mosse la tua donna, / quando chinavi, a ruinar, le ciglia » |
(Paradiso, XXXII, 133-138) |
Dante, raggiunta la pienezza della sua ascesa, associa questa volta significativamente la figura di S. Lucia a quella della Madre di Maria, S. Anna, collocandola di fronte ad Adamo, il capostipite del genere umano. Maria, Beatrice, Lucia sono le tre donne che hanno permesso, per volere divino, questo cammino di redenzione al personaggio Dante, ma tra di esse, la vergine siracusana rappresenta per il sommo poeta, l'ineludibile anello di congiunzione (e quindi il superamento) fra l'esperienza terrena del peccato e il provvidenziale cammino ascetico-contemplativo dell'esperienza oltremondana.
E.M
mercoledì 9 dicembre 2015
UN INEDITO DEL CANTAUTORE
FABRIZIO DE ANDRE'
UNA POESIA PER SAN FRANCESCO
IL CENTRO STUDI DI SIENA CUSTODISCE L'INEDITO
Siena, Facoltà di Lettere dell'Università, Centro interdipartimentale di studi Fabrizio De André. Un archivio che custodisce un tesoro, perché qui confluisce - con periodici nuovi arrivi - tutto il materiale dell'artista scomparso l'11 gennaio 1999. E poi l'agenda.
Ci sono fogli sparsi, minute di lettere scritte da Dori Ghezzi, sua moglie, dopo la morte di Fabrizio. La prima pagina si apre con il nome e i riferimenti di uno pneumologo. Dietro, la simbolica fotografia di tre uomini che tirano a forza una corda, con molta fatica. Poi conti, appunti, recapiti telefonici. E ancora: disegni, annotazioni di carattere gastronomico e agricolo. Le sue passioni. Quindi citazioni di sue nuove composizioni, alle quali Fabrizio stava lavorando. Titoli di libri che potevano servire come spunti. Continuo a sfogliare. Ci sono le medicine da prendere, annotate una per una. Frasi sparse. "Ecco", fa notare Vera Vecchiarelli, l'archivista che fa da guida nel Centro studi senese, "qui la scrittura a un certo punto diventa più incerta".
Quasi non ci si crede: proprio il santo fonte di ispirazione per il nuovo Papa, Jorge Mario Bergoglio. È in stampatello. Un testo che arriva all'improvviso a confermare la consonanza di temi fra De André e il Pontefice. Perché proprio gli ultimi, i diseredati, sono i protagonisti della poetica di Fabrizio prima che il Papa Francesco ne facesse il suo campo di battaglia. Si prosegue. Altre frasi rapide, una, due righe. Poi, un lungo spazio bianco, pagine non scritte. Solo in fondo c'è un appunto più lungo.
È quello finale. Il suo ultimo pensiero scritto. "Noi cantastorie andiamo in giro sollevando la polvere dai fatti memorabili, cerchiamo di farne mito o leggenda (abbiamo, a differenza dei giornalisti, la licenza di stravolgere) e se ci riusciamo davvero possiamo diventare OMERO, se non ci riusciamo per niente andiamo a comprare i giornali nelle edicole". Tipicamente deandreiano. Nella commistione fra alto e basso, nella chiusa finale: amara ma ironica. Ecco: in quello che è il suo ultimo appunto, Fabrizio ha riflettuto sul proprio mestiere. Ne ha difeso l'approccio e i modi. Si è riallacciato ai classici. E ha concluso con una frase spiazzante. Da Milano la Fondazione Fabrizio De André, presieduta da Dori Ghezzi, conferma: sì, questi pensieri sono scritti da Faber di suo pugno.
Su uno scaffale si intravede un altro quaderno. Ha un colore verde chiaro, un nome - Outport Land - in stile marinaro. È di qualche anno precedente. Dentro c'è una poesia, bellissima e terribile. Il titolo è Il testamento.
Accomuna la morte del padre Giuseppe, per anni amministratore delegato di Eridania, e del fratello maggiore di Fabrizio, Mauro, notissimo avvocato a Genova. Vera Vecchiarelli mostra nel dettaglio come De André operava nella stesura delle sue canzoni: "Fabrizio aveva la mania di annotare tutto quello che faceva, anche nelle cose quotidiane: da come prepararsi per i concerti ai concetti da esprimere fra una canzone all'altra, dagli alimenti da assumere quando voleva fare dieta alle formazioni della squadra del Genoa la domenica. A volte ho l'impressione che scrivesse tutto come per farsi leggere, un giorno, da chi avrebbe aperto i suoi quaderni. E tutto ciò che faceva, lo faceva molto seriamente, in maniera meticolosa, strutturata".
Il Centro studi di Siena custodisce in realtà il metodo di De André. Lo stesso che la studiosa Marianna Marrucci, che ha collaborato all'archivio, definisce come una "poetica del "saccheggio"". E cioè, "un riuso originalissimo delle proprie letture: idee, temi, immagini, versi, sintagmi migrano dalla pagina alla voce in un impasto tanto più eterogeneo quanto più coerente e originale". Una visita qui permette di capire come Fabrizio studiasse i testi e li annotasse per poi riutilizzarli nelle bozze di lavoro. E la mole di volumi consultati per scrivere un brano di pochi minuti poteva essere impressionante. Segnati ovunque: sul frontespizio, nelle pagine bianche, in cima, in fondo, ai lati come se fossero glosse, su fogli che prendeva e accludeva. Il "saccheggio" consisteva poi nell'individuazione di un termine, una frase, un concetto, che venivano cerchiati, prelevati e incastonati nel nuovo lavoro, quindi rielaborati in modo magari molto diverso rispetto alla fonte originaria.
E. M
martedì 8 dicembre 2015
"TOTAS PULCHRA"
PAPA FRANCESCO
TRADIZIONALE ATTO DI VENERAZIONE
Oggi, solennità dell’Immacolata Concezione, dopo la Messa di apertura del Giubileo della misericordia e la recita dell’Angelus di questa mattina, alle 16 Papa Francesco si e' recato in piazza di Spagna per il tradizionale atto di omaggio e venerazione alla statua dell’Immacolata.
Il monumento alla Vergine è stato inaugurato l’8 settembre 1857, tre anni dopo la definizione del dogma dell’Immacolata Concezione di Maria da parte di Pio IX (8 dicembre 1854). È stato Pio XII ad avviare la tradizione dell’invio dei fiori per l’occasione. Nel 1958 Giovanni XXIII si è recato in piazza di Spagna e ha deposto ai piedi del monumento un cesto di rose bianche, consuetudine mantenuta da Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI.
La visita di Papa Francesco all’Immacolata e' stato un momento di preghiera con l'introduzione della lettura del brano dell’Apocalisse dedicato alla donna che schiaccia la testa al drago.
A seguire l’allocuzione del Santo Padre, che al termine ha offerto un omaggio floreale alla Vergine accompagnato dal canto delle litanie lauretane, la recita dell’Ave Maria e la benedizione finale. Conclude l’atto di omaggio il canto dell’antico inno “Tota Pulchra”.
E. M
lunedì 7 dicembre 2015
ANNO DELLA MISEICORDIA
GIUBILEO STRAODINARIO 2015
LE "VIE SANTE" DA PERCORRERE
8 DICEMBRE FESTA DELL'IMMACOLATA CONCEZIONE
DA INIZIO ALL'ANNO GIUBILARE DELLA MISERICORDIA
I pellegrini
potranno organizzare diversi itinerari “fai da te” sulle “vie della
Misericordia”. Itinerari che si dislocano a piedi tra i principali
luoghi sacri di Roma.
IL CAMMINO DEL PAPA
Il “cammino papale”, come spiega Il Tempo (3 dicembre), è il percorso seguito per secoli dai papi dalla Basilica di San Giovanni in Laterano alla Basilica di San Pietro e viceversa, passando attraverso via dei Santissimi Quattro, il Colosseo, via dei Fori Imperiali e il carcere Mamertino. Prosegue poi per il Campidoglio fino a Castel Sant’Angelo e quindi San Pietro con due varianti: una che passa da via dei Banchi Nuovi (chiesa Santa Maria in Vallicella) e l’altra per via dei Coronari (chiesa San Salvatore in Lauro).
SULLE TRACCE DEL PELLEGRINO
Il “cammino del pellegrino” parte dalla Basilica di San Giovanni in Laterano fino alla Basilica di San Pietro e viceversa, passando per via
di San Paolo alla Regola, piazza e chiesa della SS. Trinità dei
Pellegrini, via Giulia, San Giovanni dei Fiorentini, Castel Sant’Angelo,
San Pietro.
LA VIA DELLA MADONNA
Infine il “cammino mariano” inizia alla Basilica di Santa Maria Maggiore e porta alla Basilica di San Pietro e viceversa, passando per via Urbana, via Madonna ai Monti, via Tor dei Conti e via dei Fori Imperiali, fino al carcere Mamertino.
Da qui si connette con il primo e secondo itinerario nella parte comune
fino a piazza Navona dove si sdoppiano per confluire alla Basilica di
San Pietro.
Su ogni via giubilare, ci sarà il passaggio attraverso una Chiesa giubilare: San Giovanni dei fiorentini, Chiesa Nuova, Santa Maria in Vallicella, e San Salvatore in Lauro.
“ROME JUBILEE”
Chi non vuol spostarsi a piedi ma con i mezzi
pubblici potrà invece avere a portata di mano un pacchetto speciale per i
trasferimenti da un luogo all’altro della Capitale: la “Rome Jubilee”. Sulla card sarà possibile “caricare” tutta l’offerta turistica di Atac in occasione del Giubileo:
dal ticket giornaliero a quello settimanale, fino all’abbonamento
mensile per tutti i mezzi pubblici della Capitale e utilizzabile sul
circuito Metrebus (Cinquequotidiano.it, 3 dicembre).
E. M
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