UTOPIA
TOMMASO MORO
300 ANNI FA
FALLIMENTO DEL COMUNISMO
San Tommaso, martire inglese, disquisisce sulla proprita' privata e la distribuzione del reddito.
Nell'Utopia,
un'isola governata da un re con potere di coordinare le varie
istituzioni e di rappresentare il suo popolo. Il governo affidato a dei
magistrati eletti da ogni famiglia, con il principio (rivoluzionario
dell'epoca) della liberta' di parola e di pensiero e soprattutto della
tolleranza religiosa.
Quando era prigioniero nella Torre di Londra, San Tommaso scrisse
un’opera intitolata “Dialogo del conforto contro la tribolazione”, in
cui espone le sue idee sull’economia. L’aspetto interessante è che
praticamente già prevedeva cosa sarebbe accaduto nei Paesi
socialisti/comunisti del XX secolo:
“È assolutamente necessario che ci siano uomini dotati di
possedimenti; in caso contrario, esisterebbero più mendicanti di quelli
che già esistono e non ci sarebbe cittadino in grado di soccorrere il
proprio prossimo. Ritengo certa questa conclusione: se tutto il denaro
esistente in questo Paese domani venisse sequestrato ai suoi
proprietari, accumulato in un deposito comune e in seguito
redistribuito, in porzioni uguali, a ciascuno degli abitanti della
regione, dopodomani saremmo in condizioni peggiori di quelle di domani.
Credo che se tutti i cittadini ricevessero una porzione uguale di beni,
quelli che oggi sono in una buona posizione rimarrebbero in una
posizione poco migliore di quella di un mendicante di oggi; dall’altro
lato, quelli che oggi sono mendicanti, nonostante quello che potrebbe
giungere loro mediante questa nuova ripartizione di beni, non si
troverebbero in una situazione molto migliore di quella di un mendicante
di oggi. Avverrebbe, in ogni caso, che molti di coloro che oggi sono
ricchi arriverebbero a possedere solo beni mobili, diventerebbero poveri
per il resto della loro vita.
Gli uomini, come ben sapete, non possono vivere in questo
mondo senza che alcuni forniscano i mezzi per vivere a molti altri. Non
sono tutti in condizioni di possedere una barca, né tutti sono in grado
di gestire il commercio (per mancanza di stock), né tutti sono
all’altezza di avere un aratro (malgrado sappiate quanto siano
necessarie queste cose). E chi potrebbe vivere della professione del
sarto se non esistesse chi è nelle condizioni di commissionare un capo
d’abbigliamento? E chi potrebbe vivere della professione di muratore o
di falegname se non ci fossero uomini capaci di far costruire chiese o
case? E cosa farebbero i tessitori se mancassero proprietari di
fabbriche per far andare avanti la rispettiva industria? È migliore la
condizione dell’uomo che non avendo neanche due ducati in casa consegna
ciò che ha e resta senza niente di quella di colui che essendo un ricco
proprietario (del quale il primo è servitore) perde la metà dei suoi
averi. Questi sarebbe allora costretto a diventare servitore egli
stesso. Succede però che l’uomo povero (servitore) trova la sua fonte di
vita proprio nei beni del ricco. In queste circostanze, accadrebbe al
povero quello che è accaduto alla donna della quale parla una delle
favole di Esopo: aveva una gallina che le dava ogni giorno un uovo
d’oro; un bel giorno, ritenendo che in una volta sola avrebbe potuto
diventare proprietaria di una grande quantità di uova, uccise la
gallina, ma nel ventre dell’animale ne trovò uno solo. Così, per avidità
di quelle poche uova, ne perse un gran numero”.
È interessante notare che Moro non difendeva nemmeno il capitalismo
individualista, ma il valore sociale del denaro, come fa l’attuale
Dottrina Sociale della Chiesa, come si vede in questo passo:
“Chi non è sollecito nei confronti dei sudditi è peggiore
di un apostata della fede. I nostri sudditi sono coloro che ci sono
stati affidati o per natura o dalla legge o da qualche mandato di Dio:
(…) per natura, come i nostri figli; dalla legge, come i nostri
servitori. Anche se figli e servitori non ci vengono affidati allo
stesso modo, credo che anche in relazione ai servitori (con i quali
abbiamo un legame meno stretto) abbiamo il dovere di essere solleciti e
di provvedere alle loro necessità. Abbiamo il dovere, per quanto ci è
possibile, di provvedere a che non manchino delle cose necessarie finché
sono al nostro servizio. Se quindi si ammalano mentre ci servono,
abbiamo il dovere di curarli; non sarebbe mai lecito espellerli da casa e
abbandonarli senza conforto per tutto il tempo in cui non sono in
condizioni di lavorare e di provvedere a se stessi. Una tale procedura
sarebbe contraria a tutte le regole del buonsenso umano”.
E. M
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